La generazione perduta dei populisti d'Europa

La politica dei populisti ha origine dal rancore di persone che hanno perso i loro sogni, infranti su cambiamenti che non hanno saputo né voluto governare.


Questo post nasce da un dialogo tra giovani, seduti in una sala riunioni di un atipico ufficio milanese durante una tranquilla pausa pranzo. Meno di 60 anni in due. Origini molto diverse e percorsi personali altrettanto diversi. Presi dal caso e buttati nella stessa società ad occuparsi di finanza, direbbero alcuni, o di futuro, direbbero loro.

Uno dei due, il più giovane, se ne esce così: “Sai, stavo pensando l’altro giorno, che è come se la società europea sia spaccata in 3 grandi fasce di età: ci sono i più giovani, diciamo under 35, quelli che qualcuno chiama “generazione Erasmus”, e quelli over 60, quelli cioè che sanno cos’è la guerra e ne hanno avuto paura. Poi c’è la fascia di mezzo, quella dai 35 ai 60 anni, che è quella generazione che oggi occupa le poltrone che contano nel panorama politico, o che sta per occuparle. Ecco a me sembra che le due fasce agli estremi siano quelle profondamente e spontaneamente europeiste. Vuoi il progresso dell’integrazione e della mobilità, i programmi di scambio culturale, internet,… per i più giovani sono stati tutti fattori di aggregazione che hanno spinto i più a vedere nell’Europa una nuova grande nazione. Dall’altro lato la paura della guerra, l’aver visto i nazisti e i fascisti da vicino, aver visto i treni partire per l’inferno, aver sentito il fischio delle bombe e poi aver passato 60 anni di pace, pura e solida, la libertà di fare e dire ciò che si vuole, il non vedere più i militari in strada. Insomma anche i nostri vecchi hanno un certo affetto per l’Europa. E poi ci sono loro, la generazione perduta. Sono loro che oggi hanno fondato i partiti populisti, euroscettici, di protesta. Insomma quelli che stanno cercando di annullare tutto ciò che l’Europa rappresenta ed è nata per rappresentare. Stanno cercando di minarla alle fondamenta, e la sensazione è che ci stiano riuscendo. Che dici, è solo una mia sensazione o la società oggi è davvero così?”.

L’altro si ferma, solo qualche istante, probabilmente solo per realizzare che la pausa pranzo sta diventando di un certo peso, e non è di certo colpa dell’insalata con la robiola che ha di fronte a sé. E quindi attacca: “Be’, è ragionevole. La spiegazione è in parte socio-economica: le persone nate tra gli anni 60 e 80 soprattutto in Italia, Francia, UK… in parte anche in Spagna, ma là c’era Franco ed è quindi una questione diversa. In Germania invece no, il boom della ricostruzione l’hanno avuto solo dopo la caduta del muro di Berlino, quindi è avvenuto tutto più tardi. Comunque, le persone nate in quegli anni hanno vissuto a pieno il ciclo di boom economico del dopoguerra, un boom che ha dato modo più o meno a tutti di vivere una vita relativamente agiata, con molti lussi inarrivabili per le generazioni precedenti e per quelle successive alla loro. Hanno avuto però la sfortuna di arrivare alla fine di questo ciclo, assaporando l’amaro sapore del ridimensionarsi dei loro progetti per il futuro. Si sono scontrati con un’economia e una società che non era in grado di sostenere i loro sogni e le loro aspettative, nei loro pensieri si ripropone sempre il senso di rimpianto, di rimorso e di opportunità rubate. La verità è che in parte delle colpe sono esogene, ma molte altre colpe ricadono direttamente su di loro, sul loro stile di vita e sulla loro mancanza di coraggio nell’assumersi responsabilità, in senso lato.
Oggi sono loro a fondare i movimenti populisti, a voler uscire dall’Euro prima e a smantellare l’Unione Europea poi. Ma questo loro odio e risentimento verso le istituzioni non è altro che l’effetto che si ottiene quando, mossi da rancore, si cerca un capro espiatorio ad una propria condizione sociale ed economica. E l’Europa, con la sua colpevole distanza dai cittadini e la sua a volte discutibile dialettica istituzionale è il soggetto ideale su cui scaricare tutte le tensioni e la rabbia di un’intera generazione”.

La percezione è che questo periodo di fermento politico (nel 2017 andranno alle urne i cittadini di Olanda, Francia e Germania) sia l’ultima grande occasione per i movimenti populisti per provare a distruggere ciò che oggi è l’Europa. Se dovessero fallire sembrano esserci tutti i presupposti per un progressivo ma inarrestabile emergere di una nuova classe dirigente, figlia di una generazione che vede nell’Europa il new standard. Il non-Europa non sarà più l’Italia degli anni ’90 ma sarà la Russia, saranno gli Stati Uniti, sarà la Cina e l’Africa. E allora l’Europa assumerà il peso politico che i Padri Fondatori avevano sognato sedendosi intorno ad un tavolo con l’orrore della seconda guerra mondiale ancora dipinto negli occhi.

La mia è una previsione? Temo di no.
È più che altro un desiderio, o meglio un obiettivo. L’avrete intuito, io sono parte della generazione Erasmus e sono cresciuto con l’idea che prima o poi assisterò alla nascita degli Stati Uniti d’Europa. E non sarà una generazione frustrata, vittima in parte di sé stessa, a rovinare il sogno di milioni di cittadini europei.

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